Onda di tempesta è un romanzo d’avventura scritto da Wilbur Smith, insieme a Tom Harper, pubblicato l’1 ottobre 2024, da HarperCollins e tradotto da Sara Caraffini.
Un nuovo capitolo della saga dei Courtney, una delle più longeve e affascinanti saghe letterarie dell’autore, che copre diverse generazioni della famiglia Courtney e attraversa secoli di storia. Inizia nel XVII secolo, nell’epoca della colonizzazione europea dell’Africa, e continua fino al XX secolo, toccando eventi storici come la guerra anglo-zulu, la prima e la seconda guerra mondiale e i cambiamenti sociali e politici del Sudafrica. In ordine cronologico il libro si colloca dopo “Il fuoco della vendetta ”.
Un’avventura ambientata durante la Rivoluzione americana, incentrata su Rob Courtney, un giovane in cerca di gloria tra mare e battaglie. Una storia di coraggio, vendetta e la lotta per la libertà, sullo sfondo di un’epoca turbolenta.
Trama del libro Onda di tempesta
Rob Courtney aveva sempre vissuto nel silenzio di un avamposto commerciale, incastonato lungo la costa orientale dell’Africa. La sua anima, però, sognava un’esistenza avventurosa, colma di mare e di scoperte. Ma quando la notizia della morte del nonno, Jim Courtney, giunse come un colpo di fulmine, tutto cambiò. La visita del misterioso Capitano Cornish al forte rappresentava per Rob un’opportunità che non poteva lasciarsi sfuggire. Con il cuore in tumulto, decise di imbarcarsi clandestinamente sulla nave di Cornish, diretta verso l’Inghilterra, un viaggio che prometteva di stravolgere il corso della sua vita.
Una volta giunto a Londra, la città si rivelò un sirena seducente. Le luci brillanti e il caos frenetico lo avvolsero, ma ben presto il sogno si trasformò in incubo: Rob si trovò a vagabondare, disperato e senza un soldo. Fu così che, abbandonando ogni speranza di gloria, si arruolò nella Marina, pronto a attraversare l’Atlantico per unirsi alla lotta contro i ribelli americani.
Dall’altra parte dell’oceano, i suoi lontani cugini, Caleb e Aidan Courtney, combattevano con passione per l’indipendenza delle colonie. La guerra, però, non risparmia nessuno: Aidan cadde in una feroce battaglia contro le truppe britanniche, un evento che scosse profondamente Caleb. Con un giuramento di vendetta che rimbombava nel suo cuore, Caleb si impegnò a non trovare pace fino a quando non avesse cacciato gli inglesi dall’America, qualunque fosse il costo.
Questa è una storia epica di sconfitta e resilienza, sullo sfondo tumultuoso della Rivoluzione americana. Una narrazione che esplora il coraggio di ricominciare, tra legami di sangue e il desiderio di libertà.
Recensioni
Le recensioni sono molto poche visto il poco tempo trascorso dalla pubblicazione, ma tanti concordano sul fatto che, anche se godibile, non riesce a superare i precedenti della saga e alcuni non riconoscono la scrittura di Smith, che da anni collabora con altri autori per le sue opere, come nel caso di questo libro pubblicato postumo. Molti hanno premiato il coraggio di affrontare le questioni delicate legate alla colonizzazione africana, esplorando il tormento interiore della minoranza bianca nel confrontarsi con il proprio passato. In questo nuovo racconto, il fulcro non è la colonizzazione, ma la tratta degli schiavi, dipinta attraverso un percorso narrativo che svela le realtà cruente dell’ultima parte del XVIII secolo. Altri sono concordi nel fatto che riesce a mantenere alta la tensione, introducendo una galleria di personaggi, ciascuno dei quali contribuisce in modo significativo a tessere il racconto di un’epoca complessa. Sono stati apprezzati anche i colpi di scena inaspettati e le profonde riflessioni sulle norme sociali, Smith riesce a catturare l’attenzione del lettore, sfidandolo a rimanere in sintonia con le vicende narrate. Non ci resta che leggerlo e confermare o no queste affermazioni.
Incipit del libro Onda di tempesta
Costa orientale dell’Africa, 1774
Robert Courtney era a caccia di prede.
Avanzò a guado nelle acque cristalline della laguna quasi senza causare increspature. A diciassette anni era già alto più di sei piedi, molto abbronzato dopo una vita trascorsa sotto il sole africano e muscoloso grazie al lavoro nei campi e a lunghe nuotate nell’oceano. La fiocina che teneva sollevata oltre la spalla gli sembrava leggera come una freccia.
Sopra di lui, un enorme promontorio dalle pareti scoscese svettava sulla Nativity Bay e alla sua sinistra l’acqua scompariva in un intrico di paludi di mangrovie. Dal mare soffiava una brezza profumata talmente lieve da solleticargli a stento la peluria dietro il collo.
Fissò l’acqua, irrigidendo il braccio che reggeva la fiocina, ma ignorò i pesciolini che gli saettavano fra le gambe. Mirava a una preda più grossa. A volte grandi ombrine indiane e merluzzi bianchi si infilavano nella baia per crogiolarsi nelle secche tiepide. Riuscire a infilzarli mentre baluginavano come miraggi richiedeva rapidità e bravura, tuttavia Rob giocava in quell’insenatura sin da quando aveva imparato a camminare ed era in grado di immergere la fiocina di scatto senza produrre alcun rumore, regolandone d’istinto l’angolazione in base alla distorsione causata dall’acqua.
Serviva comunque fortuna per uccidere la preda.
Aveva notato dei movimenti accanto agli scogli sul versante meridionale della baia, così si diresse lentamente da quella parte, badando di non spaventare i pesci. Visto che la maggiore profondità dell’acqua gli impediva di proseguire a guado si tenne a galla bocconi, spingendosi in avanti con calcetti delicati che rompevano a stento la superficie.
Vide un’ombra scura stagliarsi contro il sabbioso fondale bianco, troppo grande per essere un granchio e troppo rotonda per essere un sacco. Incuriosito, dimenticò per un attimo il pesce e lasciò la fiocina a galleggiare, poi si tuffò. Pesci minuscoli sfrecciarono via mentre con due vigorose sforbiciate delle gambe raggiungeva il fondale. Allungò una mano verso l’oggetto e si stupì di non riuscire a staccarlo dalla sabbia; persino usandole entrambe faticò a sollevarlo.
Riemerse e tenne alzato il suo trofeo, battendo i piedi. Non appena lo tastò meglio capì cosa fosse. Lo scoprì ben più pesante di quanto avrebbero lasciato supporre le sue dimensioni, con tracce della levigata superficie ferrosa ancora visibili sotto i cirripedi che lo incrostavano.
Era una palla di cannone.
Rob sapeva che un tempo quella rada era stata teatro di una battaglia, combattuta quasi quarant’anni prima da suo nonno Jim e dal suo bisnonno Tom. Aveva sentito raccontare la storia così tante volte da conoscerla ormai a memoria. Sapeva che il califfo dell’Oman aveva portato lì la propria flotta per punire i Courtney e che Tom aveva attirato quelle navi nella baia solo per poi farle bruciare fino alla linea di galleggiamento grazie a palle di cannone arroventate. Per anni gli scheletri delle imbarcazioni affondate erano rimasti nella rada come antichi mostri, poi tempeste e maree avevano fatto il loro lavoro e ciò che restava dei relitti era finito in mare aperto oppure era stato spinto sulla riva per essere utilizzato come legna da ardere. La battaglia stava scomparendo dalla memoria collettiva e una volta che fossero morti i suoi nonni sarebbe diventata una semplice leggenda.
Pensò con stupore alle mutevoli correnti e maree che adesso avevano reso visibile la palla di cannone. Ormai da parecchio tempo nessuno, lì nella Nativity Bay, sparava con intenti bellicosi.
Stava fissando l’oggetto con una tale attenzione che per poco non gli sfuggì il movimento nell’acqua, lo scatto possente, l’increspatura di una pinna che fendeva la superficie. Alzò gli occhi per vedere un enorme pesce sfrecciare verso di lui.
No, non un pesce bensì uno squalo. Uno squalo tigre.
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