Miss Bee e il cadavere in biblioteca è un romanzo giallo mistery a tinte chiare, scritto da Alessia Gazzola, pubblicato il 19 novembre 2024 da Longaresi, che ci regala una nuova protagonista, Beatrice Bernabò, detta Miss Bee, che si ritrova coinvolta in un intrigo tra misteri e amori proibiti nell’aristocrazia inglese degli anni ’20. Tra sguardi rubati e sospetti, scoprirà non solo un colpevole, ma anche il suo cuore.
“Beatrice sapeva che il padre era un po’ come il personaggio di certi romanzi per signorine, la vecchia zia cui devi procurare di gran corsa i sali perché può svenire da un momento all’altro per eccesso di emozioni.”
Trama del libro Miss Bee e il cadavere in biblioteca
Londra, 1924. La giovane Beatrice Bernabò, per gli amici Miss Bee, ha appena messo piede nella capitale inglese al seguito del padre Leonida, stimato docente di Italianistica chiamato a insegnare all’università. Un incarico prestigioso, reso ancora più solido dall’appoggio dell’ambasciatore italiano, che non può che essere fascista. Ma la vera avventura per Beatrice inizia quando accetta un invito a cena dalla loro vicina, Mrs. Ashbury, una nobile vedova dal fascino elegante, madre di Christopher – per gli amici Kit – un giovane irresistibile e dai modi affascinanti.
Quella che sembra una serata mondana si trasforma in un intrigo dalle tinte gialle: un mistero che intreccia sentimenti e segreti, dove se uno è colpevole, l’altro non può essere innocente. E tra colpi di scena e sguardi rubati, Beatrice si ritrova a chiedersi non solo chi sia l’assassino, ma anche chi abbia davvero rapito il suo cuore. Kit o qualcun altro?
In un’epoca in cui l’aristocrazia britannica tenta di scrollarsi di dosso le ombre della Grande Guerra, tra visconti dai sorrisi letali e investigatori con sogni di ghigliottina, Miss Bee si muove con grazia e determinazione, immergendosi in un mondo che sembra uscito da un romanzo: elegante, decadente, ma mai privo di sorprese. Un racconto che mescola il mistero di Agatha Christie, le atmosfere sfarzose di Downton Abbey, la dolce malinconia di Frances Hodgson Burnett e l’irresistibile frivolezza di Bridgerton, il tutto condito dall’inconfondibile leggerezza ironica di Alessia Gazzola.
“Beatrice invidiò un po’ la sua coetanea scortata dai genitori, perché a lei invece toccava mordere la vita da sola. E sicuramente a Mabel non stavano strette le scarpe, come a lei.”
Incipit del libro Miss Bee e il cadavere in biblioteca
Londra, 1924
1 Il braccialetto
Camminando di fretta sotto una pioggerellina molto inglese, Beatrice Bernabò prese una storta. Si fermò sul marciapiede e sollevò la caviglia: aveva appena calpestato un braccialetto che, se non era d’oro, lo sembrava.
Si chinò, lo raccolse da terra e subito dopo si guardò attorno. Alle spalle, a destra, a sinistra. Forse l’aveva smarrito qualcuno nei paraggi? Non c’era nessuno.
Beatrice fece scivolare il bracciale nella tasca del cappotto: doveva solo attraversare la strada e sarebbe rientrata a casa, dove avrebbe potuto osservarlo meglio.Non appena la porta si chiuse alle sue spalle e prima ancora di togliersi il cappello, Beatrice prese il bracciale. Sospettava di averne rotto il gancio con il suo aggraziato piedino, ma no, non era successo: spiccava solo un’ammaccatura in corrispondenza del punto in cui era stata incisa una L. Poggiandolo sul polso si accorse che si chiudeva perfettamente. Sembrava molto prezioso: una fitta e pesante maglia d’oro e al centro una placchetta quadrata decorata con piccole perle e pietre rosso scuro. Quando si dice un dono del cielo… Tuttavia, se fosse stato di valore come sembrava, era moralmente corretto che lei lo tenesse? E però se lo avesse riportato dove l’aveva trovato, l’avrebbe preso qualcun altro e tanti cari saluti al dilemma etico.
«Beatrice, sei tu?» sentì la voce del padre chiamarla dal suo studio.
«Sì, papà. Arrivo.» Si tolse il cappellino, appese il cappotto all’attaccapanni e lo raggiunse.
Leonida Bernabò guardò la figlia. «Pensavo che fossi il garzone del latte.»La mattina precedente, la sua secondogenita si era tagliata i capelli corti: era la moda. Segretamente Beatrice rimpiangeva la bella chioma scura, ma quando poi vedeva le altre ventenni con capigliature rette da lunghe trecce annodate le sembravano delle vecchie prozie e le passava ogni pentimento.
«E invece è la tua figlia scavezzacollo.»
«Dov’eri andata?»
«A farmi prestare un paio di scarpe da Clara.»
«Capisco. Vai a prepararti? È tardi.»
«Sì, ma farò presto.»Beatrice era invitata a cena a casa di Mrs. Minerva Ashbury, che abitava esattamente di fronte a loro. A pensarci bene, il bracciale che giaceva smarrito nei pressi della sua casa bianca su due piani a Queen’s Gate, nel quartiere di South Kensington, poteva appartenere a lei, o a qualcuno che frequentava casa sua. Era un’ipotesi sensata: gliel’avrebbe mostrato quella sera stessa.
Mrs. Ashbury aveva preso a ben volere le sorelle Bernabò, che si erano trasferite da Firenze nel 1920 insieme al padre Leonida, docente di Italianistica all’Università di Londra. Incarico cui il professore aveva aspirato per anni e che era stato favorito dall’ambasciatore italiano nel Regno Unito in persona, amico d’infanzia di Leonida. Con la scusa di aiutarle nella pratica della lingua inglese, la loro vicina era diventata ogni giorno un po’ più vicina e la loro vita sociale le era di certo debitrice, perché Mrs. Ashbury dava delle cene splendide. A una di queste, sua sorella Clara aveva conosciuto Hugh Blunt, un trentenne che lavorava come agente di cambio e godeva della simpatia di piccoli aristocratici di cui curava gli investimenti. Ma non appena Hugh iniziava a parlare di affari, Beatrice si addormentava. Clara e Hugh si erano sposati l’anno prima dopo un decoroso fidanzamento e vivevano nel quartiere di Blackfriars, che la sorella amava perché di domenica mattina, da casa sua, poteva udire le campane di St. Paul. C’era poi un’altra sorella, Lucilla, ma aveva soltanto nove anni e sostenendo di aver sempre sognato di avere una bambina, Mrs. Ashbury la viziava come una fata madrina.
Mentre il padre sorseggiava una tazza di tè Beatrice si specchiò, attratta com’era dalla nuova immagine di sé che vedeva riflessa. Così radicalmente diversa da non essersi ancora abituata. Oltre a sentirsi alla moda, il vantaggio maggiore era che, ricadendo sulle guance, il caschetto copriva a tratti la sua cicatrice. Aveva infatti Beatrice, sullo zigomo di sinistra, un lungo segno obliquo rimasto dopo una brutta caduta quando era ancora bambina in Italia.
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