Arsène Lupin e Il faraglione cavo è una delle avventure più intriganti del famoso ladro gentiluomo creato da Maurice Leblanc. Pubblicato per la prima volta nel 1909, il romanzo è un classico del giallo francese che mescola ingegno, colpi di scena e un tocco di ironia tipico di Lupin, il personaggio iconico della narrativa d’avventura.
“Senza il Faraglione cavo, Lupin sarebbe stato incomprensibile, sarebbe stato un mito, un personaggio da romanzo, fuori dalla realtà…Padrone di quel segreto formidabile, era semplicemente un uomo come gli altri, capace però di maneggiare in modo superiore l’arma che il destino gli aveva fornito.”
Trama del libro Il faraglione cavo
Era una notte buia, come spesso accade quando si parla di misteri e segreti inconfessabili. Al castello di Gesvres, un luogo che trasudava storia e silenzi, succede qualcosa che sembra uscito da un romanzo. Raymonde de Saint-Véran, nipote del conte, si trova faccia a faccia con uno sconosciuto. È un attimo: la ragazza afferra una pistola e spara. Ma quello, come un’ombra, scompare nel nulla, lasciandosi dietro solo la tensione e mille domande.
Poche ore dopo, un nuovo colpo di scena: Raymonde viene rapita. Nel frattempo, il cadavere di un uomo viene ritrovato non lontano da lì. È Arsène Lupin, il celebre ladro gentiluomo? È possibile che la sua mente brillante abbia fallito, che il suo ultimo colpo sia stato anche l’ultimo atto della sua vita?
La polizia non ha dubbi: il morto è lui, caso chiuso. Ma c’è un giovane, un detective dilettante, che non si accontenta. Isidore Beautrelet ha un fiuto speciale per i dettagli che sfuggono agli altri. E c’è qualcosa che non torna, soprattutto quando si scopre che, nello stesso momento, è scomparso un documento antico, il segreto del faraglione cavo. Un mistero antico, conosciuto solo dai re di Francia, un segreto che vale più dell’oro.
E allora, Beautrelet si mette sulle tracce di un uomo che potrebbe essere morto… o che potrebbe non esserlo affatto. Perché con Lupin nulla è mai come sembra, e ogni risposta nasconde un’altra domanda. Un gioco pericoloso, in cui la verità e l’inganno si intrecciano come fili di un arazzo oscuro.
Recensione
C’è qualcosa di ipnotico in questo libro, un gioco di specchi che riflette avventura e mistero in un equilibrio perfetto. Maurice Leblanc ci trascina in una danza di rivelazioni inaspettate, piste false che si perdono nel buio e sorprese che ci fanno trattenere il respiro. È un romanzo che non si legge soltanto: si vive, come un duello mentale tra Lupin e i suoi avversari. E la tensione è sempre al massimo, fino all’ultima pagina, quando il finale arriva con la precisione di un colpo da maestro.
Ma non è solo intrattenimento. C’è uno strato più profondo, un sottofondo di domande che il romanzo sussurra. La legge, la giustizia, l’onore: sono concetti rigidi o possono piegarsi alle circostanze? Lupin, il ladro gentiluomo, è una contraddizione vivente, un paradosso che sfida i confini tra bene e male. Ha un codice etico che spesso si rivela più saldo di quello dei suoi avversari ufficiali, poliziotti o presunti uomini di legge.
Ed è proprio questa ambiguità a renderlo immortale. Lupin non è solo un personaggio: è un’idea, un simbolo, una provocazione. È per questo che, a più di un secolo dalla sua prima apparizione, continua a sedurre i lettori, come un enigma che non si lascia mai risolvere del tutto. Ogni colpo di scena è una trappola, ogni indizio un enigma, e dove il lettore si ritrova, senza accorgersene, a fare il tifo per il criminale più affascinante della letteratura francese.
Un classico? Certo, ma è anche una di quelle storie che continuano a sorprendere, che non invecchiano mai, perché Lupin non è solo un personaggio: è un’idea, un’arte, una sfida. E ogni volta che lo si incontra, ci si domanda: sarò capace di stargli dietro?
Lo stile di Maurice Leblanc, in questo romanzo, ti avvolge senza che tu te ne accorga. Le parole scorrono fluide, ti ritrovi lì, accanto a Lupin, a vivere ogni scena come se fossi uno spettatore privilegiato. Il ritmo è serrato, incalzante, con un crescendo che ti tiene sul filo fino all’ultima pagina. I dialoghi sono in equilibrio tra intelligenza e sarcasmo, capaci di strapparti un sorriso anche nei momenti più tesi. Perché Arsène Lupin, si sa, non è solo un ladro. È un artista della parola, un funambolo che trasforma ogni ostacolo in uno spettacolo di genialità. E tu, lettore, non puoi fare altro che restare a guardare, incantato.
Ho letto l’edizione della casa editrice Newton Compton Editori nel volume che raccoglie tutti i libri della serie di Arsène Lupin e tradotta da Gabriel Aldo Bertozzi : Le grandi avventure di Arsenio Lupin
Incipit del libro Il faraglione cavo
1. La fucilata
Raymonde restò in ascolto. Il rumore si ripeté di nuovo, due volte di seguito. Abbastanza chiaro da poter essere distinto fra tutti i rumori confusi che formavano il grande silenzio notturno, ma tanto debole da non saper dire se l’avesse udito vicino o lontano, fra le mura del castello, o al di fuori, nel parco tenebroso.
Si alzò, con calma. La finestra era semiaperta, l’aprì completamente. Il chiarore della luna si posava su un quieto paesaggio di tappeti erbosi e di boschetti, nel quale le rovine sparse dell’antica abbazia spiccavano in profili tragici: colonne troncate, ogive incomplete, abbozzi di porticati e frammenti di archi acuti. Un po’ di vento accarezzava la superficie delle cose, scivolando attraverso i rami nudi e immobili degli alberi e agitando le foglioline dei cespugli.
A un tratto ancora lo stesso rumore… Veniva da sinistra e dal basso, quindi dai saloni dell’ala occidentale del castello, sottostanti alla camera di Raymonde.
Benché coraggiosa e forte, la fanciulla, impaurita, ebbe un fremito di angoscia. Si vestì sommariamente e si accinse ad accendere un fiammifero.
«Raymonde… Raymonde…».
Una voce lieve come un soffio la chiamava dalla camera accanto, la cui porta non era stata chiusa. Stava già per entrarvi, alla cieca, quando Suzanne, sua cugina, uscì da quella camera e si lasciò cadere fra le sue braccia.
«Sei tu, Raymonde?… Hai sentito?…».
«Sì… Non dormivi dunque?»
«Penso che sia stato il cane a svegliarmi un po’ di tempo fa… Ma non abbaia più. Che ora può essere?»
«Sono le quattro circa».
«Ascolta… Qualcuno cammina nel salone.. Ne sono sicura!».
«Non c’è pericolo. Tuo padre è qui vicino, Suzanne…».
«Ma lui è in pericolo… dorme accanto al salone…».
«C’è anche il signor Daval…».
«All’altra estremità del castello!… Come vuoi che possa sentire?».
Esitavano, non sapendo cosa fare. Chiamare? Chiedere aiuto?… Non osavano, farlo avrebbe contribuito ad accrescere il loro sgomento. Ma Suzanne, che si era avvicinata alla finestra, soffocò a stento un grido:
«Guarda… Un uomo, là, vicino alla vasca!…».
Un uomo, infatti, si stava allontanando rapidamente. Portava sotto il braccio un oggetto abbastanza voluminoso, che le due cugine non furono in grado di distinguere e che, penzolando lungo una gamba, gli impediva di camminare speditamente. Lo videro passare accanto alla vecchia cappella e dirigersi verso una porticina che si apriva nel muro di cinta e che doveva essere semiaperta, in quanto l’uomo scomparve immediatamente senza che si udisse il consueto stridere dei cardini.
«È uscito dal salone!» mormorò Suzanne.
«No. La scala e l’atrio l’avrebbero condotto molto più a sinistra… A meno che…».
Furono scosse da uno stesso pensiero. Si affacciarono. Sotto di loro, una scala a pioli era appoggiata alla facciata, all’altezza del primo piano. Una luce fioca rischiarava il balcone di pietra; e un altro uomo, che portava anch’egli qualcosa, scavalcò il balcone, si lasciò scivolare lungo la scala e fuggì nella stessa direzione del primo.
Suzanne, terrorizzata, priva di forze, cadde in ginocchio balbettando:
«Chiamiamo… Gridiamo aiuto…».
«Chi verrebbe? Tuo padre… E se vi sono degli altri uomini… pronti a scagliarsi contro di lui?…».
«Almeno, si potrebbero avvertire i domestici. Il tuo campanello comunica con le loro camere».
«Sì… sì… Forse, questa è una buona idea… Purché arrivino in tempo!».
Raymonde cercò accanto al suo letto il bottone del campanello elettrico e lo premette col dito. Il campanello vibrò, in alto, ed esse ebbero l’impressione che dal giardino se ne fosse udito distintamente il suono.
Aspettarono. Il silenzio si fece spaventoso e nemmeno più la brezza agitava le foglie degli arbusti.
«Ho paura!… Ho paura!…», ripeteva Suzanne.
E, a un tratto, nel buio profondo, sotto di loro, il rumore di una lotta, un fracasso di mobili urtati e spinti, parole, esclamazioni, e poi, orribile, un gemito roco, il rantolo di un uomo sgozzato…
Raymonde balzò verso la porta. Suzanne si aggrappò disperatamente alle sue braccia.
«No… no… non lasciarmi sola!… Ho paura!».
Raymonde la respinse e si lanciò nel corridoio, subito seguita da Suzanne, che barcollava da una parete all’altra, urlando. Giunse alla scala, scese precipitosamente, si scagliò contro la porta del salone e si fermò di botto, come inchiodata sulla soglia, mentre Suzanne si lasciava cadere a terra, accanto a lei. Di fronte a loro, a tre passi di distanza, c’era un uomo, che teneva in mano una lanterna e che diresse la luce sulle due fanciulle, abbagliandole. Guardò a lungo i loro pallidi visi, poi, senza affrettarsi, con i movimenti più calmi del mondo, prese il suo berretto, raccolse un pezzo di carta e due fili di paglia, cancellò delle tracce sul tappeto, si avvicinò al balcone, si voltò verso le due fanciulle, fece loro un profondo saluto e scomparve.
Per prima Suzanne corse al salottino che separava il salone dalla camera di suo padre, ma appena entrò fu atterrita da uno spettacolo orribile. Al chiarore obliquo della luna, si vedevano stesi a terra due corpi esanimi, giacenti uno accanto all’altro. Si chinò su uno di quei corpi.
«Padre!… Padre!… Sei tu… Che hai?…», esclamò, fuori di sé.
Dopo un po’, il conte di Gesvres accennò un movimento e con voce rotta, disse:
«Non temere… non sono ferito… E Daval? È ancora vivo?… E il coltello?… il coltello?…».
In quel momento, giunsero due domestici che portavano delle candele accese. Raymonde si precipitò verso l’altro corpo, e riconobbe Jean Daval, segretario e uomo di fiducia del conte. Il suo volto aveva già il pallore della morte.
La serie di romanzi con Arsène Lupin:
1907 – Arsène Lupin, ladro gentiluomo
1908 – Arsene Lupin contro Herlock Sholmes (un romanzo e un racconto: “The Blonde Lady” e “The Jewish Lamp”)
1909 – Il faraglione cavo
1910: 813
1912 – Il tappo di cristallo
1913: Le confidenze d’Arsène Lupin
1915 – La scheggia d’obice
1917 – Il triangolo d’oro
1919 – L’isola delle trenta bare
1920 – I denti della tigre
1923 – Gli otto rintocchi del pendolo
1924 – La contessa di Cagliostro
1926 – Il soprabito di Lupin
1927 – La signorina dagli occhi verdi
1928 – L’Agenzia Barnett & C.
1928 – La dimora misteriosa
1930 – Lo smeraldo a cabochon
1930 – La Barre-y-va
1932 – La donna dai due sorrisi
1934 – Victor, della Brigade mondaine
1935 – La Cagliostro si vendica
1941 – I miliardi di Arsène Lupin
1936 – L’ultimo amore di Arsène Lupin (pubblicato postumo)