La fine è il mio inizio è molto più di un libro, è un racconto straordinario che mescola riflessione filosofica, memoria e saggezza. Questo testo, pubblicato nel 2006, da Longanesi, dopo due anni dalla scomparsa di Tiziano Terzani, nasce dalle conversazioni tra il grande giornalista e scrittore e suo figlio Folco. Si tratta di un dialogo intimo e toccante, una sorta di testamento spirituale in cui Terzani ripercorre le tappe fondamentali della sua vita. Non è un semplice racconto, ma un’eredità immateriale, un invito a riflettere sul senso del vivere e sul valore del pensiero.
“E se hai capito qualcosa, la vuoi lasciare lì, in un pacchetto. Questo pacchetto è la storia che ti ho raccontato.”
Il libro nasce da un momento in cui Terzani, consapevole della fine imminente a causa di una malattia, decide di raccontare la sua storia, non si tratta però di una biografia tradizionale, è un affresco complesso e vibrante di esperienze, ci parla dei i suoi anni da corrispondente in Asia, il rapporto con il giornalismo, l’amore per la scoperta, il viaggio come metafora della vita e l’esplorazione del senso ultimo dell’esistenza. Il dialogo con il figlio Folco non è soltanto un espediente narrativo, diventa un ponte generazionale, un modo per condividere valori, riflessioni e lezioni di vita. In quelle conversazioni c’è spazio per un confronto schietto sulla società contemporanea, sul materialismo che ci consuma, sulla spiritualità che spesso dimentichiamo e, soprattutto, sulla morte, affrontata non con paura, ma con il coraggio di chi vuole capire e accettare.
“E la regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza.”
Lo stile è sincero e diretto, ogni pagina è permeata di autenticità, possiamo ascoltare la voce di un uomo che ha vissuto intensamente, che ha visto il mondo cambiare sotto i suoi occhi e che ha cercato di comprenderlo. La scelta del dialogo come forma narrativa dona al libro un’intimità unica, quasi come se il lettore fosse presente nella stanza, testimone di quel confronto tra padre e figlio.
In un’epoca frenetica come la nostra, il messaggio di Terzani è un invito a fermarsi, guardarsi dentro e vivere con maggiore consapevolezza. È un libro che non si dimentica, che lascia un segno profondo e che, in fondo, ci parla della bellezza e del mistero della vita stessa. Ho letto tutto di Terzani, mancava solo questo, che non è stato facile affrontare, l’ho letto in un momento molto difficile della mia vita, in un momento dove non avevo nessuna voglia di sentir parlare di morte, è stato anche doloroso sentire che lui pagina dopo pagina scivolava via. Ho pianto. Ed ho lasciato andare.
“E una delle cose a cui tengo moltissimo è che tu capisca che quello che ho fatto io non è unico. Io non sono un’eccezione. Io questa vita me la sono inventata, e mica cento anni fa, ieri l’altro. Ognuno la può fare, ci vuole solo coraggio, determinazione, e un senso di sé che non sia quello piccino della carriera e dei soldi; che sia il senso che sei parte di questa cosa meravigliosa che è tutta qui attorno a noi. Vorrei che il mio messaggio fosse un inno alla diversità, alla possibilità di essere quello che vuoi. Allora, capito? È fattibile, fattibile per tutti.”
Incipit del libro “La fine è il mio inizio”
Mio carissimo Folco,
sai quanto odio il telefono e quanto mi è ormai difficile, con le pochissime forze che ho, scrivere anche due righe così. Per cui niente «lettera», ma un telegramma con le due o tre cose a cui ancora tengo e che è importante tu sappia.
Sono terribilmente affaticato, ma serenissimo. Adoro essere in questa casa e conto di non muovermi più da qui. Spero di vederti presto, ma solo a condizione che tu abbia finito il tuo lavoro. Una volta qui, tutto ti (ci) travolgerà, specie se tu accettassi un’idea sulla quale ho molto riflettuto. Questa:
… e se io e te ci sedessimo ogni giorno per un ora e tu mi chiedessi le cose che hai sempre voluto chiedermi e io parlassi a ruota libera di tutto quello che mi sta a cuore, dalla storia della mia famiglia a quella del grande viaggio della vita? Un dialogo fra padre e figlio, così diversi e così eguali, un libro testamento che toccherà a te mettere assieme.
Fai presto, perché non credo di avere molto tempo. Fai i tuoi programmi e io cerco di sopravvivere ancora per un po’ per questo bellissimo progetto, se sei d’accordo.Ti abbraccio,
i’ babboCuCù
Folco, Folco, corri, vieni qua! C’è un cuculo nel castagno. Non lo vedo, ma è lì che canta la sua canzone:
Cucù, cucù, l’inverno non c’è più
È ritornato il maggio col canto del cucùBellissimo, senti!
Che gioia, figlio mio. Ho sessantasei anni e questo grande viaggio della mia vita è arrivato alla fine. Sono al capolinea. Ma ci sono senza alcuna tristezza, anzi, quasi con un po’ di divertimento. L’altro giorno la Mamma mi ha chiesto «Se qualcuno telefonasse e ci dicesse d’aver scoperto una pillola che ti farebbe campare altri dieci anni, la prenderesti?» E io istintivamente ho risposto «No!» Perché non la vorrei, perché non vorrei vivere altri dieci anni. Per rifare tutto quello che ho già fatto? Sono stato nell’Himalaya, mi sono preparato a salpare per il grande oceano di pace e non vedo perché ora dovrei rimettermi su una barchetta a pescare, a far la vela. Non mi interessa.
Guarda la natura da questo prato, guardala bene e ascoltala. Là, il cuculo; negli alberi tanti uccellini – chi sa chi sono? – coi loro gridi e il loro pigolio, i grilli nell’erba, il vento che passa tra le foglie. Un grande concerto che vive di vita sua, completamente indifferente, distaccato da quel che mi succede, dalla morte che aspetto. Le formicole continuano a camminare, gli uccelli cantano al loro dio, il vento soffia.
Che lezione! Per questo io sono sereno. Da mesi dentro di me c’è un centro di gioia che irradia in ogni direzione. Mi pare di non essere mai stato così leggero e felice. E se mi chiedi: Come stai? ti dico: Io sto benissimo, la mia testa è libera, mi sento meravigliosamente. Solo che questo corpo fa acqua, letteralmente fa acqua da tutte le parti, marcisce. E l’unica cosa da fare è staccarsene e abbandonarlo al suo destino di materia che diventa putrescente, che torna polvere. Senza angoscia, come la cosa più naturale del mondo.
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Citazioni dal libro “La fine è il mio inizio”
FOLCO: Come mai decidesti di fare il classico? Era meno pratico.
TIZIANO: No, no, no! Il classico era quello che volevo fare. Innanzitutto questa idea della praticità non esisteva, non è che si studiava per trovare un buon lavoro. Si studiava perché era bello studiare.
pag. 28
Cercherò di raccontarti questa storia al massimo della sincerità che mi sembra sia l’unica vera qualità su cui tu devi poter contare. Non ci raccontiamo delle balle. Non facciamo della letteratura. Pensa, tutta la vita ho manipolato parole, potrei manipolare parole fino a che voglio, è così facile ormai. Quello invece che mi piacerebbe riuscire a raccontare è… è la verità dietro le parole. Che poi è il senso di tante cose che ho fatto. Allora, ieri dove eravamo rimasti?
pag. 44
la materia delle materie era l’uomo e la materia della materia delle materie era la società. L’idea quindi era che si potesse cambiare la società. Non si aveva in mente nient’altro, almeno nella mia generazione. Penso ai miei compagni di università: eravamo tutti a studiare – chi legge, chi scienze politiche, chi medicina, chi economia – per contribuire alla società. Si studiava perché ci si sentiva, come dire, incaricati di una missione che era quella di agire sulla nostra società, malata e distrutta, ingiusta fra l’altro, per cambiarla. Chi voleva fare l’avvocato per difendere i poveri, chi voleva fare il politico, chi il diplomatico. Nessuno studiava per diventare un consulente finanziario, come fanno tanti giovani di oggi. Quella era roba che non si sapeva nemmeno che esistesse. E non era un atteggiamento altruista, il nostro, non la vedevamo così. Era il nostro compito. Ci sentivamo una élite, ci sentivamo privilegiati di poter studiare e ci pareva naturale, per niente ideologico, volere in qualche modo restituire alla società quel che la società ci aveva dato. Certo, facevamo anche il nostro interesse ma, ripeto, tutti studiavamo cose con le quali volevamo contribuire alla società.
pag. 47
Fin dall’inizio ho imparato che attraverso un piccolo episodio racconti una grande storia, perché la storia raccontata attraverso un’esperienza personale, attraverso il piccolo aneddoto della vita di un uomo, di un villaggio, può spiegare molto di più che se scrivi «Ieri, seimila morti…» Seimila morti nessuno li vede, ma un morto che ha famiglia, che ha bambini, quello impressiona.
Sai, volevo raccontare agli altri quello che gli altri non vedono, non sentono, di cui non sentono l’odore. Lo vedi alla televisione: persino i morti non ti fanno impressione, persino il sangue, coloratissimo, sembra quasi una cosa non vera. Ma un altro conto è se ne parli con la partecipazione di te che lo hai visto. Questo cambia tanto le cose perché trasferisci una tua emozione al lettore. E questo l’ho capito ben presto. L’ho imparato anche dai grandi.
pag. 115
I libri erano i miei migliori compagni di viaggio. Stavano zitti quando volevo che stessero zitti, mi parlavano quando avevo bisogno che mi parlassero. Un compagno di viaggio invece è difficile perché impone la sua presenza, le sue esigenze. Un libro no, tace. Ma è pieno di tante belle cose.
pag. 196
I libri. Sono stati i miei grandi amici, perché non c’è di meglio che viaggiare con qualcuno che ha fatto già la stessa strada, che ti racconta com’era per poter paragonare, per sentire un odore che non c’è più, o che c’è ancora.
pag. 200
Perché io sono convinto che solo la diversità del mondo crea vitalità e dà maggiore libertà a tanta gente, mentre l’appiattimento secondo modelli prestabiliti non fa che esasperare certe situazioni ed eliminare tante belle alternative.
pag. 258
C’è un discorso che Gandhi fa nel 1909 in cui si guarda attorno e si chiede «Cos’è la vera civiltà? La civiltà nasce da un tipo di comportamento che indica all’uomo il sentiero del dovere […], l’osservanza della moralità. Raggiungere la moralità significa raggiungere la padronanza della nostra mente e delle nostre passioni». È civiltà questa inglese, occidentale, si chiede, che misura il progresso in quanti più abiti la gente ha? In quanto più velocemente si sposta? Non bastano all’uomo un tetto sopra la testa, un pezzo di stoffa attorno ai fianchi? Parole durissime. Lui voleva prendere la via dei villaggi anziché quella delle fabbriche che riducono l’uomo a schiavo. Perché distruggere i villaggi? Villaggio vuol dire comunità, vuol dire spartire le risorse!
pag. 397
Le scuole non fanno che la storia degli eroi e dei conquistatori. Alessandro Magno: «magno» perché ha massacrato migliaia di persone nell’Asia centrale? Forse era anche uno simpatico ai suoi tempi, giovane, conquista il mondo. Ma conquistare cosa vuol dire? Vuol dire uccidere, prendere la roba degli altri. Tutto questo dovrebbe essere rimesso in discussione.
pag. 399
L’uomo è una strana creatura, la più distruttiva che sia mai comparsa sulla faccia della terra. Neanche i dinosauri sono stati così distruttivi. Solo noi, solo questa orribile bestia bipede che ha la coscienza è capace di tanta assurdità, e di non migliorare. Questo uomo è penoso, penoso! Millenni per non progredire di un passo. Il mondo è pieno di violenza, di egoismo, l’uomo non ha fatto un passo avanti. Spiritualmente è rimasto uguale, identico. Ha paura della morte, ha paura di tutto, si sente insicuro, non sa chi è.
pag. 404
L’uomo si illude di conoscere e certamente fa strada sulla via della conoscenza. Ma si rende conto che ogni volta che arriva al limite di ciò che è conosciuto, lo sconosciuto è immensamente più vasto di quello che lui conosce e che riuscirà mai a conoscere. Sarebbe bello allora accettare che c’è questo mistero, che c’è quello che non capirai mai, e abbracciarlo. Compreso il mistero della morte.
Lungo silenzio.
Perché vedi, si muore dal momento che si nasce. Si è giovani e si pensa che la morte è degli altri. Ma se uno imparasse già da bambino che la morte è parte della vita, che tu puoi integrare la morte nella vita, allora la tua vita sarebbe più bella, perché conterrebbe questo contrasto e questa dimensione. Mica devi morire! Campa fino a cent’anni, ma campa con la coscienza che la tua vita e la tua morte sono la stessa cosa.
pag. 449
Sento questa mia vita che sfugge, ma che non sfugge, perché è parte della stessa vita di quegli alberi. Una cosa bellissima, il disfarsi nella vita del cosmo ed essere parte di tutto. Questa mia vita non è la mia vita, è la vita dell’Essere, è la vita cosmica di cui mi sento parte. Per cui non perdo niente, staccandomi dal corpo io non perdo niente.
Allora, questa è la fine ma è anche l’inizio.
pag. 457
Quando vedi tutt’uno le cose cambiano immensamente. Perché allora guardi in terra e ti accorgi che è tutt’uno, non c’è un pezzo separato. E la cosa bella, quando vedi tutt’uno ti rendi conto che non ci sono più divisioni. E allora vuol dire che quando tu guardi i fiori, l’erba, non sono fiori, non sono erba, sono parte di questa gloriosa bellezza che è la vita. E allora non c’è da chiedersi se è minerale, se è… se è…
ANGELA: Vegetale?
TIZIANO: Vegetale. Anzi, ti rendi conto, appena incominci a guardare, che è tutt’uno. Per cui guardi la bellezza della terra e vedi l’unità di questa. E allora c’è una bellezza che devi capire. Senza quella si vive senza più attaccamento. Ti metti a guardare e scopri la bellezza del minerale. Ma non esclude… il vegetale. E allora guardi la bellezza del vegetale e vedi la bellezza del tutto. E vedi la grande bellezza della terra.
Per cui è come abbracciare prima il minerale e abbracciare… l’animale e abbracciare l’umanità, perché non c’è differenza. Abbracci l’umanità. Ti butti in questa bellezza. E rimane che abbracci il minerale, abbracci, abbra… abbracci l’umanità, perché non c’è differenza.
pag. 461/462
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