21 marzo 2025. Un numero che parla da solo: centosettanta. Tanti sono stati i libri candidati alla prima fase del Premio Strega Poesia 2025, che quest’anno spegne la sua terza candelina. Un numero importante, che testimonia quanto fervore, quanta urgenza di parola ci sia ancora oggi nel mondo della poesia contemporanea.
Ma come si fa a scegliere tra così tante voci, timbri, visioni? È qui che entra in gioco il Comitato scientifico del Premio, una squadra di nomi autorevoli che, come esploratori del verso, si sono addentrati tra le pagine per scovare le opere più significative. A comporlo: Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Vivian Lamarque, Melania G. Mazzucco, Patricia Peterle, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi e Gian Mario Villalta.
L’annuncio della cinquina finalista del Premio Strega Poesia 2025 è atteso per il 7 maggio al MAXXI L’Aquila. In quell’occasione, si delineeranno le opere che si contenderanno la vittoria finale. A decretare la poesia vincitrice sarà un’ampia giuria composta da personalità del mondo della cultura, chiamata a valutare con attenzione linguaggio, intensità e originalità delle raccolte in gara. L’assegnazione del premio avverrà invece il prossimo 8 ottobre, nella suggestiva cornice della Casa dell’Architettura di Roma, all’interno del complesso monumentale dell’Acquario Romano. Un doppio appuntamento da non perdere per chi crede ancora nella forza della parola poetica.
I dodici finalisti del Premio Strega poesia 2025
- Prisca Agustoni con L’animale estremo, Interno Poesia Editore.
- Elisa Biagini con L’intravisto, Einaudi.
- Marco Corsi con Nel dopo, Guanda.
- Maurizio Cucchi con La scatola onirica, Mondadori.
- Claudio Damiani con Rinascita, Fazi.
- Roberto Deidier con Quest’anno il lupo fissa negli occhi l’uomo, Molesini.
- Alfonso Guida con Diario di un autodidatta, Guanda.
- Antonio Francesco Perozzi con On land, Prufrock.
- Giancarlo Pontiggia con La materia del contendere, Garzanti.
- Jonida Prifti con Sorelle di confine, Marco Saya.
- Marilena Renda con Cinema Persefone, Arcipelago Itaca.
- Tiziano Rossi con Il brusìo, Einaudi.
I 12 finalisti del Premio Strega Poesia 2025
Prisca Agustoni con L’animale estremo, Interno Poesia Editore.
Nella nuova raccolta poetica di Prisca Agustoni, “L’animale estremo”, il filo conduttore è lo spaesamento vissuto dall’individuo che vede sorgere un nuovo cantiere in una zona verde ancora intoccata dall’edilizia, fenomeno che negli ultimi decenni ha “allungato” le città e le zone industriali e decimato gli spazi verdi che separavano un villaggio dall’altro. Il tema della costruzione (di un edificio ma anche di un nuovo senso di “comunità” e dell’abitare) occupa l’intera raccolta, declinato in vari modi: dall’osservazione della macchina anonima del cantiere e la conseguente riflessione del rapporto tra l’umano e la natura, all’attenzione rivolta verso gli abitanti della zona di cemento, le loro sensazioni, la loro intimità trapelata dai rumori, nelle viscere di questo animale estremo. Così, come se fossero dei cuori invisibili di un enorme corpo grigio, le poesie registrano i minimi segnali di vita di ogni abitazione, attenta alla rugosità della materia umana osservata, pulsante, in contrasto con la staticità e la pesantezza degli elementi del cantiere (lo scavo, il cemento, il rumore). Il libro coglie questi contrasti e risvolti dell’animo umano, in un’alternanza stilistica tra poesia e poesia in prosa, dettata dalla cadenza del respiro di chi osserva e di chi abita tra le pareti dell’edificio.
ACQUISTA
Elisa Biagini con L’intravisto, Einaudi.
L’intravisto è ciò che osserviamo con difficoltà, per frammenti, «con l’occhio appoggiato alla crepa». Un impedimento che nei versi di Elisa Biagini diventa una forza per conoscere meglio se stessi e l’altro da sé, uno sguardo obliquo che apre orizzonti in cui situare i ricordi. E più fortemente la poetessa percepisce l’altrove, più sembra toccare il profondo di sé, per guardarsi veramente e riorientarsi: «ripesco la bussola, sollevo lo specchio». Con l’urtarsi e l’infittirsi dei significati intorno a immagini ricorrenti (animali, sassi), «facendo l’orlo al silenzio», dall’ombra della memoria e da «quanto è in fondo allo specchio» traluce «il brusio dell’impensato». A poco a poco affiorano le istantanee di un dialogo con un «tu»: una comunicazione difficile, fatta di frasi interrotte, silenzi, assenze. Quella di Elisa Biagini è una poesia che sta nel mondo in modo dialettico, cogliendone il conflitto e dandogli voce, raccontando ad occhi aperti «quanto rimasto dalla cancellatura».
ACQUISTA
Marco Corsi con Nel dopo, Guanda.
Toscano, quarantenne e indicato come una delle voci più interessanti della giovane poesia italiana, Marco Corsi mostra d’essere entrato nella piena maturità di autore. Illustrando il suo lavoro, aveva affermato in una intervista: «Mi interessa una prospettiva che permette il dialogo tra passato e futuro». In piena sintonia con le intenzioni, queste pagine rappresentano il punto di attrito fra un passato remoto e un avvenire in cui chi scrive non ci sarà più. L’attualità, allora, sembra visionariamente proiettata in una sorta di «dopo». E come il tempo si risquaderna e si dilata, lo stesso avviene per uno spazio fatto di luoghi, dove le città visitate diventano un ambiente unico: strano, onnicomprensivo, instabile. Con la sua scrittura Marco Corsi mostra la propria autonomia dai modelli novecenteschi e, facendo leva su un lessico dallo spettro amplissimo e sugli innumerevoli rinvii alla sua memoria di lettore appassionato, costruisce una narrazione globale, dilagante, trascinante. Dove l’autore ha il coraggio poetico di riversare la propria vita presente, forse anche un’esistenza pregressa e ormai fossile, forse il suo e il nostro futuro.
ACQUISTA
Maurizio Cucchi con La scatola onirica, Mondadori.
Va verso nuovi territori l’opera di Maurizio Cucchi, che in questa “Scatola onirica”, oltre a indagare un nuovo spazio topografico – Casa Cucchi, località in provincia di Pavia -, declina la ricerca identitaria lungo un più temerario viaggio, verso una lingua primigenia, fino al «primitivo mugugno» dell’«homo ergaster». Diviso in sette sezioni, “La scatola onirica” si apre sulle connessioni frammentarie di un antico Quartiere di lignaggio, sede di genti ancora estranee all’«homo oeconomicus», realtà in cui la tensione etica si esprime sempre attraverso una «geografia del minimo». Ma Casa Cucchi non è che il luogo propedeutico di ritorni memoriali, concessi dalla dimensione del sogno. Non a caso la seconda sezione, Macchina onirica, ci restituisce l’antitesi tra sonno e veglia, intervallo in cui passato e presente si saldano. Il sonno dilata l’epica di un frammento ricco di congiunzioni, quasi un’unità anelata rispetto al «precario esserci» del reale. Tutto è ricondotto al potenziale illimitato (e sconosciuto) della mente, fino quasi a metterne in dubbio l’esistenza nell’ultimo capitolo, Mente cielo materia. D’altra parte pochi poeti come Maurizio Cucchi sanno abitare lo spazio frontale del tragico, con disinvolta levità, mai riparato da alibi consolatori. Riappare, in Sfiorando l’afasia, un remoto personaggio come Sabatino, ossessionato dall’etimologia, la stessa che ci conduce a evidenti contraddizioni semantiche che si sviluppano nella mobilità di temi e di molteplicità metrico-prosodiche. Una possibile risposta al rischio afasico si evidenzia nella sezione L’immagine, la parola. Dalle opere di ventidue grandi artisti, il poeta traccia una riflessione filosofica e sociale. Se Cucchi da sempre ci ha messo a parte della potenza evocativa del frammento, qui le sconnessioni si inabissano nel mistero contraddittorio della lingua, per giungere infine a un rapporto frontale tra immagine e parola, tra etica ed estetica, parafrasando l’anima di ogni opera rappresentata, che non è che il riflesso – spoglio di autoinganni – delle nostre vite.
ACQUISTA
Claudio Damiani con Rinascita, Fazi.
Dal vincitore del Premio Viareggio Rèpaci poesia 2022, un libro in prosa di inusuale bellezza.
Con una prosa lirica e ispirata, ma lucida e chiara nelle descrizioni, l’autore racconta i suoi primi anni di vita passati in un villaggio minerario nel Nord della Puglia tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, e i ripetuti, solitari ritorni da adulto nel villaggio e nella miniera nel frattempo abbandonati e, di anno in anno, in progressivo disfacimento.
Al centro c’è la natura, vista con gli occhi e la mente di un bambino molto piccolo, una natura mitica e arcaica, magica e parlante, densa di simboli evocativi e toccanti, che il bambino incontra nelle sue quotidiane uscite all’aperto, nel sole, con la sua bicicletta rossa numero 14. Animali soprattutto ma anche paesaggio, terra piatta e nuda e cielo azzurro lunghissimo, minerale rosso sangue che fuoriesce dalla terra, aria e luce come elettrizzate e sonore.
A una prima parte più analitica, segue una seconda sintetica e fantastica: non più solo ricordare, ripercorrere, misurare, cercare di capire o interpretare l’infanzia, ma reinventarla, pur sempre in quel luogo, con quelle persone, quel paesaggio, e pur sempre con quella stessa felicità di uscire alla luce e incontrare il mondo, in una definitiva rinascita.
Mi avvicino a Bianca e sto per darle un bacio sulla bocca, lei si scosta e dice: «Ehi che fai? Siamo piccoli noi». «Sì, in effetti siamo piccoli», dico io, «scusa».
ACQUISTA
Roberto Deidier con Quest’anno il lupo fissa negli occhi l’uomo, Molesini.
Nell’introduzione a Il primo orizzonte Luigi Surdich scriveva, leggendo la poesia di Roberto Deidier: «Scopriamo […] di trovarci nel centro della poesia contemporanea: nel cuore di una poesia da secolo nuovo […] che, per deliberata presa di distanze tanto dallo sperimentalismo quanto dalla declinazione postmoderna, fonda il luogo della pronuncia in versi in una peculiare “attualità”». A più di vent’anni, l’esattezza elegante delle parole di Surdich colpisce anche laddove sia inevitabile, oggi, vederne virare il colore verso tinte forse inattese. […] anche questo è libro unitario, in cui la linea del tempo non si palesa e anzi si fa elemento di coerenza architettonica dell’insieme, parlandoci di una poesia capace di persistere. Non dovrebbe, del resto, sorprendere la resistenza al tempo iscritta nei versi di Deidier è pienamente svelata proprio da una raccolta come questa, in cui la contingente occasionalità dei componimenti si trasfonde in perfetta simulazione stilistica dell’occasionalità: siamo, infatti, alla presenza di un lirico di razza, forse uno degli ultimi nel nostro panorama poetico, per il quale ogni cosa è, anzitutto, questione di ritmo.
ACQUISTA
Alfonso Guida con Diario di un autodidatta, Guanda.
Il ritratto che Alfonso Guida offre al lettore è quello di chi ha condotto una strana, continua e forse pericolosa dissipazione esistenziale. E che trova i propri antecedenti letterari o spirituali, al di là della costellazione dei maledetti «storici» a cui si sente inevitabilmente collegato, in autori a lui e a noi più vicini quali Rosselli e Salvia. Alfonso Guida è un inattuale, e qui sta il tratto interessante e anomalo della sua figura. Che sembra non indicare un apprendistato stilistico e lessicale chiaro e conclamato, e dunque procede per istinto, e passa dallo stilema alto e storicamente testato al vocabolo corrivo, talvolta osceno, a frammenti di narrazione prosastica o brevissime frasi nominali. Oppure, con una mossa altamente sintonizzata con il suo orecchio sensibile e anarcoide, pratica un uso ossessivo di assonanze, rime, allitterazioni sfiorando il momento pre-grammaticale della lingua. L’esito è una sorta di autobiografia in versi drammatica e sorprendente. Come può esserlo la rappresentazione di sé d’un autore che si racconta senza freni, che si sente lontano dalla modernità come solo un appartato per vocazione e collocazione geografica può essere. Perché è un uomo del sud profondo, Guida. Di un sud anch’esso paradossalmente inattuale, ancestrale e sospeso in un tempo che forse ormai non c’è più. Ma che nelle pagine ritorna, trasfigurato in una visione destinata a restare.
ACQUISTA
Antonio Francesco Perozzi con On land, Prufrock.
On land è del resto una serie, un libro privo di epica: il lettore lo attraversa senza bussole, oscilla tra esplorazione geografica e inventario.
On land è un tentativo di esaurimento del paesaggio attraverso la descrizione. Dighe, impianti fotovoltaici, casali in disuso, autostrade, radure, innesti tra boschi e fabbriche: ogni prosa che compone il libro si concentra su uno spazio liminale e lo dissipa attraverso il linguaggio, attraverso un uso rigoroso – e perciò allucinato – dell’argomentazione. Per questo, più che indicare una coordinata, le stringhe numeriche che accompagnano i testi sono la traccia di un’evanescenza, il tassello di una cartografia che si disfa proprio nel momento in cui mira a replicare esaustivamente i luoghi.
ACQUISTA
Giancarlo Pontiggia con La materia del contendere, Garzanti.
Nel nuovo libro di Giancarlo Pontiggia, autore ormai centrale nella poesia dei nostri anni, tutto concorre a trasformare ogni pensiero in un’immagine. Alcune hanno natura di archetipo e si rifanno ai quattro elementi fondamentali di cui parlavano i primi filosofi: acqua, aria, terra, fuoco. Immagini ambivalenti, in ogni caso, com’è forse inevitabile che sia. E l’uomo stesso, nella sua lunga vicenda storica, è qui sentito e visto come un fossile. Ma l’indagine sull’uomo e sulla vita – in questo libro in cui si contende su ciò che è bene e ciò che è male, e nel quale si esplora la verità che si nasconde nelle cose – si alimenta di prospettive sempre diverse: nella poesia Dal Pleistocene c’è qualcuno che intravede il futuro e non sa se debba inorgoglirsene o preoccuparsi; dalle grotte di Lascaux salgono gemiti di ombre; il tempo, nella poesia Tutto è pieno di dèi, di vita che pullula, è un «sovrano senza regno / che getta la sua moneta a ogni bivio»; Il mondo nuovo offre una rappresentazione infera del nostro sentire contemporaneo: un mondo dove tutto sembra regolato meccanicamente per escludere ogni speranza; Ultimi pensieri di Marco coglie l’imperatore-filosofo nel momento in cui assiste, prossimo alla morte, allo sgretolarsi di ogni filosofia. Eppure, tutto il libro appare popolato di figure tutelari, forse salvifiche, e una brocca che cade in frantumi può ricomporsi come per miracolo. Poeta inquieto e sempre aperto a nuove soluzioni espressive, Pontiggia ci consegna con La materia del contendere un libro altamente meditativo, sospeso fra necessità e utopia, realtà e visione, intelligere e sentire.
ACQUISTA
Jonida Prifti con Sorelle di confine, Marco Saya.
In questa nuova raccolta di Jonida Prifti, le sorelle di confine del titolo non sembrano essere soltanto quelle figure indissolubilmente legate alla vita intima dell’autrice e dunque alla propria personale vicenda esistenziale, ma sono anche quelle, più apparentemente impersonali, geometrie dell’ascolto che nella poesia trovano il proprio apice e vanno oltre il mero confinamento della geografia macro-testuale a favore di un più tellurico e greve «svisamento» metrico/musicale. Si assiste qui dunque a un conflitto tra significanti, sorgivi e martellanti al tempo stesso, e sonorità che deflagrano; spostamenti sensoriali che tra lo scorrere delle pagine fanno immaginare a un deragliamento dei sensi più che a un loro cercare una più sicura e canonica compattezza dall’andamento puramente verticale. E se questi continui rimpalli tra vortice e vortice possono catturare nel gorgo il lettore, ciò che sorprende è la fluidità, che qui la Prifti crea, tra un plurilinguismo, che mostra la sua più autentica origine, e la marginalità di una composizione che già di per sé nasce per essere florilegio, sempre in bilico tra stasi emozionale e una più oggettivante messa in scena di partiture, tanto meccaniche quanto volutamente dissonanti.
ACQUISTA
Marilena Renda con Cinema Persefone, Arcipelago Itaca.
la cenere è mescolata al sangue
per confondere quelli che
pensano
che Persefone sia morta
scintilla, l’occhio fa federe
gli organi possono essere
implacabili
che importa la loro vita
lei ha dimestichezza con molte
forme
di intollerabilità,
ma il sangue
è la più veloce
ACQUISTA
Tiziano Rossi con Il brusìo, Einaudi.
Questa raccolta di uno tra i più raffinati e originali poeti della cosiddetta «scuola lombarda» è caratterizzata da un’acuta e penetrante osservazione della varia realtà degli umani, con personaggi e ricordi che si mescolano per raccontare il brusío della vita, per riflettere a partire dal suo essenziale rumore di fondo. In questi versi il lettore troverà la consueta passione di Tiziano Rossi per la varietà del mondo e molti dei motivi presenti nelle raccolte precedenti: ricordi familiari «emersi dall’oceano dei possibili», la «porcheria mondiale» della guerra, frammenti di vita condominiale e istantanee di città, i giochi e le fantasie dei bambini, immersi in un tempo senza misura ma pieno di futuro. Il dialogo, seppure persistente e commosso, con «le amate persone sparite» fluisce nelle vite parallele di tutti: «mica sei il centro, nessuno lo è»; ed ecco allora entrare in scena, accanto alle evanescenti figure del passato, la frenesia della gente nel supermercato o nella metro, il sentenzioso signor Tupi e il fu signor Terbi, il geometrico dottor Póntoli e il buon cane Pim… L’umano esistere è sempre osservato con delicata sensibilità ma anche ragionato disincanto, con chiuse ironiche, a volte stranianti. Lo sguardo sul reale, da comprensivo e affettuoso, può diventare oggettivo, disilluso, e poi «andremo altrove nell’aria: / un nuovo trasloco, come tanti».
ACQUISTA