La madre del partigiano è una delle poesie più intense e commoventi di Gianni Rodari, scritta nel secondo dopoguerra. È breve, asciutta, eppure potentissima, perché dice l’essenziale senza alcun orpello, come solo la grande poesia sa fare.
La madre del partigiano di Gianni Rodari
Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.
Questa poesia, nella sua apparente semplicità, racconta il peso enorme del sacrificio. Non solo del partigiano, ma soprattutto di chi resta, in questo caso una madre, privata di tutto. Eppure lei non si dispera, non urla, non maledice. Dice soltanto: «non lo strappare, è il fiore della libertà». Una frase che urla. È lì tutta la tragedia, tutto il coraggio, tutta la dignità.
Rodari, che spesso associamo alle filastrocche e ai libri per bambini, era un uomo profondamente impegnato, e non ha mai smesso di credere nella forza della memoria e della Resistenza. Questa poesia ne è la prova: pochi versi per scolpire nella mente il senso di una perdita, e insieme il valore di una scelta.
Non è retorica, è testimonianza.
Non è eroismo, è umanità.
Non è passato, è presente.
Questa poesia si trova nel libro Grammatica della fantasia (Einaudi)